"MONSIEUR VERDOUX" DI CHARLES CHAPLIN

 


Monsieur Verdoux: tra crisi, morte e caos elegante


Il più intelligente e brillante dei miei film!” Così ebbe a dire Chaplin sul proprio film, Monsieur Verdoux. Henri Verdoux, ispirato al serial killer Landru, si dimostra sintesi del mondo caotico della prima metà del XX secolo, ritratto cinico di un mondo distrutto, piangente la salma del vagabondo dal cuore d’oro, compagno di tante disavventure.


Monsiur Verdoux, datato 1947, è uno dei film più interessanti di Chaplin sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, è il primo in cui non è presente, in alcuna veste, la maschera di Charlot (benché non usasse più quel nome dall'epoca degli ultimi lungometraggi, lasciando invariato costume e mimica). L'ultima apparizione del personaggio del vagabondo si ha nelle vesti del barbiere ebreo sosia di Hynkel nel film precedente, mentre l'ultimo come Charlot protagonista assoluto si ha in Tempi moderni del 1936 (benché sia rappresentato in veste di operaio). In Monsieur Verdoux, il secondo completamente sonoro di Chaplin, Charlot non ha senso di esistere, non la sua mimica, non la sua bontà d'animo, non la sua goffaggine (benché anche Verdoux non manchi di riprendere tratti di Charlot, come la scena in cui tenta di uccidere Annabella sulla barca, fallendo più volte). Ma come spirito Charlot è morto alla fine del Grande dittatore, lanciando il grido disperato all'umanità, un grido, in fondo, quasi solitario, nonostante l'applauso finale al discorso, come se Charlot, ferito nella guerra contro il mondo divenuto spietato, tentasse l'ultimo affondo e si accasciasse a terra ormai esanime. Charlot sarà scomparso, ma Chaplin no. Il vagabondo non tornerà mai in quanto personaggio a sé, tornerà come comico della vecchia guardia ormai in declino, cosciente di passare il testimone ad una nuova generazione di artisti, nel film Luci della ribalta. Ma, dalla crisi del ‘29 al posto dell'operaio goffo e di buon cuore, esce Henri Verdoux, un killer uxoricida. Sarebbe ingiusto, però, considerare Verdoux un mostro totalmente privo di cuore, e lo dimostra il fatto che i suoi molteplici crimini siano compiuti per mantenere la famiglia, composta dalla moglie disabile e dal figlio. Verdoux è ispirato al personaggio di Henri Landru il quale, tra il 1915 e il 1919, per provvedere al benessere della famiglia, truffò e uccise dieci donne e un accompagnatore, il tutto senza lasciare quasi alcuna traccia. Il processo si concluse con una condanna a morte, eseguita nel 1921. La storia venne suggerita da un'idea di Orson Welles. Lo sfondo, come già detto, si apre sulla crisi del '29, a causa della quale Verdoux, devoto impiegato di banca, perde il lavoro dopo trent’anni di servizio (verso la fine dirà, con un tocco di malinconia “ho speso la mia vita contando i soldi altrui”). Come Landru il suo fascino e la sua parlantina, adattati all'occasione (vedovo solitario e passionario con Mairie Grosnay, marinaio oculato nella gestione del patrimonio con Annabella Bonheur, ingegnere “filosofo” con Lidya Floray) gli permettono di ottenere il libero accesso alle proprietà. La crisi finanziari però non consente agio a Verdoux, tanto che, per ripagare i debiti dovuti a una cattiva speculazione, uccide Lidya senza alcun rimpianto (non lo mostrerà nemmeno in punto di morte). Verdoux però incarna in sé il mondo vorace del capitalismo insensibile al moral hazard senza che manchino, però, le critiche, fatte con rassegnazione. In fondo Verdoux è un ingranaggio del mondo, la rappresentazione dei suoi principi bellici. Verdoux combatte nel mondo, non più contro il mondo. Nelle ultime scene, Verdoux diviene compiuta rappresentazione del mondo: stanco, sofferente, reso tale dalla perdita della famiglia e dei risparmi nel momento di maggior ribasso in borsa. La perdita degli affetti lo rende incapace di continuare a combattere, mentre il mondo, vista la nascita del nazismo e l'affermazione del fascismo (stralci di documentari vengono mostrati, catapultando la trama dall'inizio degli anni 30 al 1937, all’epoca della guerra civile spagnola) sta per entrare in guerra, dopo soli 20 anni dalla fine della Grande guerra. È una società ipocrita quella che accoglie Verdoux, in fondo campione della modernità che lo circonda. La crisi non è da reputarsi un solo fattore esterno a Chaplin per due motivi, il primo è che il protagonista non è più un malcapitato nel mondo, come poteva essere il barbiere nel Grande dittatore, catapultato come un osservatore esterno in una realtà (la bottega di barbiere nel ghetto scosso dalle scorribande dei soldati) che propria non è. Verdoux, al contrario è la crisi di quei sentimenti ingenui definitivamente colpiti dall'insorgere dei totalitarismi scaturiti dalla crisi del '29. Sono passati undici anni da Tempi moderni e Chaplin ci mostra due facce di una stessa moneta: la classe operaia, prima costretta a ritmi al limite dell'OCD per garantire lo sviluppo industriale “alla ricerca della felicità”, poi soppiantata dall'alta disoccupazione e dalle lotte e una borghesia intenta nelle speculazioni in borsa (come dimostrato dalle scene in cui Verdoux si occupa di compravendita di azioni o in cui, con gli ex colleghi discute sulla tendenza del mercato a vendere, quando invece si dovrebbe comprare). Questo non fa di Chaplin un capitalista, anzi, e Tempi moderni ne è una chiara dimostrazione. La mente, in entrambi i casi diviene alienata rispetto al contesto, nel primo film a causa dei gesti ripetitivi al lavoro e dal mondo circostante della crisi, mentre il secondo si aliena da sé stesso e decide, per proseguire la sua attività e mantenere la famiglia, di uccidere donne ricche e facoltose per procacciarsi il denaro necessario. Verdoux dimostra il fatto dell'alienazione nella scena del j'accuse, a conclusione del processo in cui dice “Per quanto l'accusa sia stata parca nel farmi i complimenti, cionondimeno ha ammesso che ho del cervello: Merci monsieur, ne ho, e per 35 anni l'ho usato onestamente, dopodiché nessuno lo ha più voluto”. Verdoux elegantemente, sposta l'oggetto dell'accusa su un soggetto più grande, i paesi in procinto di entrare in conflitto. In realtà, essendo tratto da una storia reale (benché manipolata dal regista) Chaplin non aveva la stessa libertà di movimento di Tempi moderni (anche se, dato il messaggio di fondo, non credo fosse un gran problema, anzi), quindi non usò nemmeno l'espediente dell'ambientazione, sia perché non avrebbe potuto (per la storia originale) sia perché, data la natura della critica, credo che la Francia fosse una sineddoche per i paesi impegnati nei preparativi per il conflitto. La seconda riguarda invece i problemi personali di Chaplin, cioè la crisi interna. Chaplin, dopo l'ingresso in guerra degli USA dopo l'attacco di Pearl Harbor, è cosciente che le armate nazifasciste stanno marciando verso l'URSS e che, in quel momento, Stalin era l'unico a combattere Hitler, insieme alla Gran Bretagna. Queste sue manifestazioni resero Chaplin oggetto di gravi critiche e sospetti, dato il clima di paranoia che, soprattutto dagli anni 50 in poi, culminerà nella dottrina del senatore McCarthy. Questo si manifesterà nel film del 1957 Un re a New York, interamente girato in Gran Bretagna, dato che Chaplin fu dichiarato persona non gradita. Inoltre anche l'instabilità emotiva e sentimentale (il divorzio da Paulette Godard) e la causa di paternità intentatagli dall'amante Joan Barry causarono un disgregamento della sua immagine pubblica, nonché pretesto per attacchi di natura morale da bigotti patriottici (è quello che successe anche nel film Zelig, di Woody Allen, datato 1983). La morte viene trattata come estranea, benché il film sia basato sugli omicidi. Chaplin ci fa intuire il carattere del film fin dalla colonna sonora (a tratti larga, a tratti composta da trilli di violino) e nel momento dell'omicidio di Lydia, anche se non ci viene fatto vedere, Chaplin ci fa intendere la prosecuzione, fin dal momento in cui si appresta a commettere il delitto (dopo il discorso sulla “pallida amante di Endimione”, sussurrando la frase “Parigi val bene una messa...” il trillo di violino ci fa capire che l'omicidio è compiuto, non si sa in quale modalità). Paradossalmente, nonostante gli avvenimenti e i temi trattati, Chaplin protegge gli spettatori da scene di sangue. In altri casi, la morte viene trattata in maniera scientifica grazie alla formula fornita, innocentemente, dall'amico farmacista, come il tentativo di uccidere prima la ragazza della strada col vino, poi avvelenando il poliziotto e poi tentando di uccidere Annabella, credendo di averlo ingerito lui stesso. Infine la morte viene trattata con una risata, come i tentativi di uccidere Annabella sulla barca, inventando scuse assurde per spiegare il cappio (e tornando a movenze molto charlottiane). Come disse Robin Williams nel film Patch Adams “Perché non trattiamo la morte con un po’ di umanità, e dignità, e Dio non voglia, persino di umorismo?”. E la propria morte? Verdoux, durante il suo j'accuse si pronuncia contro la società intera, moralmente non legittimata a giudicare lui, quando le stesse potenze costruiscono armi nucleari, quando milioni di donne innocenti e bambini (lui stesso aveva perso la famiglia) sono uccisi senza pietà “e magari anche in modo più scientifico”. Come sterminatore è “un misero dilettante al confronto”. Le autorità lo perseguitavano quando era Charlot per le sue buffonate, ora lui stesso, campione della modernità, si consegna ad essi per ripagare il suo debito, anche se le stesse autorità non avrebbero alcun diritto “morale” di giudicarlo. Fino alla fine Verdoux non mostra alcun pentimento e tratta la vita in senso filosofico, “atteggiandosi a santo, masticando un sacco di mezze verità”, come dice un giornalista. Verdoux viene definito “un campione di una vita di delitti” impegnato nei propri “affari”. Alla critica che “gli altri non facessero affari in quel modo”, Verdoux lancia un’ultima critica “guerre conflitti, tutti affari. Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo. I numeri legalizzano”. Questa è, probabilmente, la frase più famosa di tutto il film. Alla fine, prima di essere condotto alla ghigliottina, mentre beve il rum, la telecamera si avvicina fino a mostrare Verdoux in piano americano. Eppure questo avvicinamento non è continuo e lineare, si rompe per un istante nell’avvicinamento. Da una parte, potrebbe essere spigato dall’uso dello zoom nel film di quegli anni, dall’altro credo possa essere un modo per enfatizzare il sentimento di Verdoux in quel momento. Lo zoom è usato sia per sottolineare particolari sentimenti (come il “cine-pugno” dei film di Ėjzenštejn) sia per provocare la reazione dello spettatore (il taglio dell’occhio nella prima scena de Un chien andalou di Buñuel e Dalì). Qui sembra essere usato per enfatizzare un sentimento di paura di Verdoux, ma la camera si ferma prima, come a volerne preservare l’orgoglio e il cinismo anche di fronte alla morte. Tutto questo è il caos elegante di Monsieur Verdoux, il caos tra personalità chimicamente espresso come “il precipitato di velocità e confusione”, ovvero sintesi del secolo in corso. La personalità del padre di famiglia intento a far sopravvivere i suoi cari e impegnato nella vita della propria comunità (qui Chapin non ha conflitti con Dio, mentre, nella realtà era ateo, ma il conflitto si sposta sull’uomo, benché lasci intendere che il concetto di anima sia cosa più di Dio che dell’uomo), quella dell’uomo caritatevole con la donna appena uscita dal carcere (benché le sue intenzioni non fossero delle migliori), che gli ricorda come il mondo sarebbe un posto migliore con un po’ di amore in più, di come sia in realtà un mondo triste e spaventato. Questo Verdoux non riesce a crederlo, vede il mondo come “di carne”, dominato dai fati fisici, a immagine dell’essere umano, la personalità del carnefice in grado di mascherarsi alla bisogna, dell’uomo in grado di ergersi anche in punto di morte in maniera eroica, cosciente che quel mondo rinnega sé stesso e la sua natura e si convince di essere migliore dell’uomo che ha appena giustiziato. Ma il tutto non è mai caotico, anche nei momenti peggiori, Verdoux non perde la propria signorilità e il modo di far coesistere questi aspetti della sua persona in un caos elegante, dettato dalle contraddizioni dell’ingranaggio/ uomo e dalla macchina/umanità. In conclusione, Verdoux, in quanto ingranaggio del mondo nel suo tempo, con tutte le critiche e le contraddizioni, è riassunto in queste parole:

Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte,

- t'ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T'ho visto, eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, …)

Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo.

Da “Giorno dopo giorno”, 1946.

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